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Le Origini di Diablo – La Storia di David Brevik e dei Fratelli Schaefer (parte 1)

Dai roguelike testuali alla fusione con Blizzard: il percorso di David Brevik e dei fratelli Schaefer verso la creazione del dungeon crawler definitivo

BigKBy BigK
9 Aprile 2025
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La storia dietro Diablo è ricca di passione e scelte decisive. Il primo capitolo, “Act I: No Experience Necessary“, del libro “Stay Awhile and Listen” di David L. Craddock, ci conduce alle origini di questa leggenda, presentandoci David Brevik, uno dei fondatori di Condor (la futura Blizzard North). In questo articolo, tradotto e analizzato per voi, ci immergeremo nei momenti chiave narrati nel primo capitolo. Esploreremo le prime passioni che hanno animato i futuri creatori di Diablo, dai mondi di Dungeons & Dragons ai primi computer Apple II, comprendendo come i sogni di un gruppo di adolescenti abbiano gettato le fondamenta per il gioco che tanto amiamo.

Indice

  • 1. Capitolo 1: Silicon e bikini – L’adolescenza di un visionario
  • 2. Capitolo 2: Eroi da scrivania: Quando i mondi di carta e pixel si incontrano
  • 3. Capitolo 3: L’incontro tra Brevik e i Schaefer – La nascita di Condor
  • 4. Capitolo 4: Superman non può calciare: Le prime battaglie di Condor
  • 5. Timeline

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Capitolo 1: Silicon e bikini – L’adolescenza di un visionario

Per comprendere appieno la genesi di Diablo, è fondamentale immergersi nell’adolescenza di David Brevik, il visionario che ha dato vita a uno dei giochi più iconici della storia dei videogiochi. Questo capitolo non è solo una biografia, ma un viaggio attraverso le esperienze formative che hanno plasmato la mente di un giovane sognatore, destinato a rivoluzionare il mondo dei giochi di ruolo.
Il titolo stesso del primo capitolo, “Silicio e Costumi da Bagno”, è un ossimoro intrigante che anticipa il contrasto tra il mondo interiore, fatto di circuiti e codice, e la realtà esterna, quella della California soleggiata e delle sue promesse. Ci introduce immediatamente al protagonista di questa prima parte del nostro racconto: David Brevik, un nome che risuonerà potente negli annali della storia dei videogiochi.

David Brevik
Fin dal liceo sapevo di voler creare videogiochi. Avevo ben chiaro cosa volessi fare nella vita. Voglio dire, quasi tutto il resto nella mia esistenza non contava quanto ciò che riguardava i giochi o i computer, cosa che in un certo senso mi ha penalizzato sotto alcuni aspetti e aiutato sotto altri.

Queste parole, pronunciate dallo stesso David Brevik, ci catapultano immediatamente nel cuore della sua ossessione. Fin dalla giovane età, il mondo dei giochi e dei computer ha rappresentato per lui non un semplice passatempo, ma una vera e propria vocazione, un faro che illuminava la sua esistenza. Questa affermazione, apparentemente semplice, racchiude già un elemento cruciale: una dedizione quasi monastica che, come spesso accade per i grandi innovatori, comporta delle rinunce ma al contempo alimenta una forza propulsiva inarrestabile.

Il racconto ora ci porta a un flashback evocativo, trasportandoci nel seminterrato di un’abitazione, epicentro di avventure immaginarie. Qui, tra dadi poliedrici, schede personaggio e tomi di sapere arcano, si consuma il rito di Dungeons & Dragons (D&D). Questa non è una semplice descrizione di un gioco da tavolo; è la rappresentazione della fucina creativa in cui Brevik affina la sua immaginazione, impara l’arte della narrazione condivisa e si immerge in mondi di fantasia popolati da eroi e mostri.

David Brevik
Ero un grande appassionato di Dungeons & Dragons. I miei amici ed io passavamo moltissime notti insonni. Era più o meno il periodo di Pac-Man e Asteroids. Giocavamo a quei titoli o a D&D: praticamente era tutto ciò che facevamo. Dipingevamo anche miniature di piombo e cose simili. Ho dei bellissimi ricordi di quel periodo.

Immagine di Stanger Things mentre giocano a D&D

Questa citazione è fondamentale per contestualizzare l’epoca. Siamo negli anni ’70 e ’80, un periodo di transizione in cui i videogiochi arcade iniziavano a popolare le sale giochi, ma la potenza evocativa e la libertà narrativa di D&D continuavano a esercitare un fascino irresistibile sui giovani. Brevik, come molti della sua generazione, si muoveva tra questi due mondi, assorbendo da entrambi gli elementi che avrebbero plasmato la sua visione futura. La pittura delle miniature, un dettaglio apparentemente marginale, sottolinea ulteriormente la sua immersione totale in questi universi creativi, un desiderio di dare forma fisica alla fantasia.

Nato nel 1968, la sua fascinazione per i mondi fittizi viene ulteriormente alimentata dall’arrivo in casa di un Atari Video Computer System. “Adventure”, con i suoi labirintici dungeon e la ricerca del calice magico, rappresenta un’evoluzione naturale dal gioco di ruolo cartaceo al medium interattivo.

Un altro aspetto cruciale nella formazione di Brevik fu l’incontro con l’Apple II Plus a scuola e poi a casa. Questo computer non è solo una piattaforma di gioco, ma uno strumento che dischiude a Brevik le porte della creazione. La possibilità di inserire un floppy disk e vedere un mondo prendere vita sullo schermo monocromatico è una scintilla che accende in lui il desiderio di andare oltre il semplice fruitore e diventare un artefice.

David Brevik
Nessun disco rigido, solo 64K di RAM. La tastiera non aveva nemmeno il tasto per alternare maiuscole e minuscole; non lo abbiamo avuto fino all’Apple IIe. Aveva due unità floppy da 5,25 pollici, un vero lusso all’epoca, e un monitor monocromatico a schermo verde. Questo era il massimo della tecnologia, ragazzi.

Macintosh Classic DiabloLa descrizione tecnica, seppur concisa, ci ricorda i pionieristici inizi dell’informatica domestica. Le limitazioni hardware dell’epoca non rappresentavano un freno, ma anzi stimolavano la creatività dei primi sviluppatori, costretti a trovare soluzioni ingegnose per dare vita alle loro idee.

Un altro importante passo nel suo percorso fu l’accesso a un modem, che aprì un nuovo orizzonte: i Bulletin Board System (BBS). Queste bacheche virtuali diventarono un luogo di scambio di software, spesso “hackerato”, e un punto di incontro per appassionati. Brevik non solo giocava, ma iniziava a esplorare il “dietro le quinte” dei videogiochi, comprendendo la loro struttura e il loro funzionamento. La citazione dei suoi giochi preferiti, Wizardry e Ultima, sottolinea il suo interesse per i giochi di ruolo con elementi di esplorazione e progressione del personaggio, un seme che germoglierà nel suo futuro lavoro.

Il desiderio di capire “cosa facesse disegnare personaggi e mostri sullo schermo al computer” lo spinse verso la programmazione. Le riviste come Apple inCider, che pubblicavano codice sorgente di giochi completi, diventarono i suoi manuali di apprendistato. Il processo di digitare meticolosamente il codice, spesso imbattendosi in errori, e la soddisfazione di vedere finalmente il gioco prendere vita sullo schermo sono descritti in modo vivido, quasi palpabile.

David Brevik
Quindi passavo ore e ore a digitare codice, e non sapevo nemmeno come si digitava correttamente. Cercavo i tasti uno per uno.

Questa immagine, apparentemente banale, ci restituisce la tenacia e la passione di un giovane autodidatta che, armato solo della sua curiosità e di una rivista, si avventura nel complesso mondo della programmazione. Gli errori diventano lezioni, e ogni bug risolto è una piccola vittoria che alimenta la sua crescente competenza.

Un altro aspetto da sottolineare è come Brevik non si limitasse a copiare il codice, ma lo manipolava, lo “torceva e piegava” per rimodellare i giochi forniti. Questa precoce attitudine all’hacking creativo, al desiderio di andare oltre i limiti imposti, è un tratto distintivo che caratterizzerà la sua intera carriera.

Già al primo anno di liceo, Brevik si cimentò nella creazione di giochi originali, come il gioco di BMX inviato ad Apple inCider. Questa ambizione precoce e la chiara consapevolezza della sua passione (“volevo creare giochi e volevo pubblicarli”) ci mostrano un individuo con una visione ben definita del proprio futuro.

Un altro elemento importante nella sua vita furono i traslochi frequenti della sua famiglia a causa della carriera del padre. Questa instabilità geografica, che per molti potrebbe essere fonte di disagio, per David paradossalmente rafforzò il suo legame con i giochi e i computer, che diventarono una “sorta di ancora”, un elemento di coerenza in un mondo in continuo cambiamento.

David Brevik
Quando ho investito nei giochi e nella programmazione, quelle cose sono rimaste una costante nella mia vita. Erano una sorta di ancora, qualcosa di coerente. Non importava dove finissi, le persone giocavano ai giochi a cui giocavo io. Non importava dove andassi, il computer era con me. Potevo crescere come persona e avere qualcosa di stabile, a differenza dei miei amici che cambiavano continuamente.

Monte Diablo

Questa riflessione profonda ci offre una chiave di lettura importante per comprendere la centralità dei videogiochi nella vita di Brevik. Essi non sono solo intrattenimento, ma un rifugio, un linguaggio universale che gli permette di connettersi con persone affini in ogni nuova realtà.

Un altro momento significativo fu l’arrivo in California nel 1984 e il trasferimento a Danville, ai piedi del Monte Diablo. Il nome della montagna, come Brevik stesso rivela, sarà l’ispirazione per il titolo del gioco che lo consacrerà. La sua casuale scoperta del significato della parola spagnola “diablo” (“diavolo”) aggiunge un tocco di ironia e destino a questa genesi.

David Brevik
L’idea per Diablo è nata quando frequentavo il liceo. Vivevo ai piedi del Monte Diablo. È da lì che ho preso il nome. Non conoscevo lo spagnolo quando sono arrivato nella Bay Area. Poi mi sono trasferito qui e ho seguito un corso di spagnolo al liceo, e un giorno ho pensato: “‘Diablo’ significa ‘diavolo’. Fantastico!'”

Al liceo, le competenze informatiche di Brevik erano tali da superare quelle dei suoi compagni e persino dell’insegnante, portandolo a ricoprire il ruolo di “co-insegnante”. Questa esperienza non solo consolidò le sue conoscenze, ma gli permise anche di affinare le sue capacità comunicative e di leadership. Parallelamente, continuò a giocare e a “prendere appunti” sulle caratteristiche che gli piacevano, preparando inconsciamente il terreno per la sua creazione.

Un altro aspetto interessante della sua adolescenza fu il suo tentativo, quasi per sfida, di cimentarsi nello sport, nonostante la sua cecità all’occhio destro e la conseguente mancanza di percezione della profondità. Questo aneddoto, raccontato con autoironia e lucidità, sottolinea come le sue vere “abilità” risiedessero altrove, nel mondo del “silicio” piuttosto che nei campi da gioco.

David Brevik
Sono nato così. Non c’è stato un incidente o qualcosa del genere. Vedevo un po’ quando ero giovane. Sapevano che questo era un problema per me. Andavo dall’oculista e guardavo le tabelle; chiudevo l’occhio destro e lui diceva: ‘Leggi le lettere’, e io rispondevo: ‘Ehm, cosa? Chi ha spento la luce?’. Sono il signor Nessuna Percezione della Profondità. Era una battuta al Saturday Night Live, ma è proprio quello che sono. Versavo il vino in un bicchiere e dovevo spingere la bottiglia finché non toccava il bordo: ‘Ah, eccolo’. Quindi compenso molto la mancanza di senso della profondità muovendo la testa e cose simili. Posso giudicare le distanze abbastanza bene, ma ha rovinato la mia carriera sportiva. È davvero difficile dire quanto sia lontano quel canestro! Guardandolo ora, mi rendo conto di quanto fosse un handicap, ma all’epoca non l’ho mai usata come scusa. Ero sfortunato sia per una terribile abilità atletica che per la totale mancanza di percezione della profondità. Questa è una combinazione vincente per ‘non essere un tipo sportivo’. I miei talenti erano altrove. Era il mio patrimonio genetico che cercava di dirmi: ‘Accidenti, quella non è la strada che devi prendere’.

La decisione di frequentare il college nel 1986 non fu dettata dalla necessità di imparare un mestiere, ma piuttosto dal desiderio di “diventare più uomo” e di sperimentare la vita universitaria. Il suo lavoro part-time presso Pacific Bell, dove imparò il linguaggio dei modem, fu un’ulteriore dimostrazione della sua precoce immersione nel mondo della tecnologia.

David Brevik
L’unico motivo per cui sono andato al college, probabilmente l’unico vantaggio, è che [mi ha dato il tempo] per farmi crescere la barba in modo che la gente mi prendesse sul serio. Sono diventato più adulto. Sono andato al college a 18 anni, ma ne dimostravo dodici. Voglio dire, ero magro come un chiodo, goffo, con un taglio di capelli corti. Non avevo esperienza di vita. Ero un piccolo nerd sfigato. Ho imparato a bere e ad avere una ragazza, tutte cose che all’epoca erano molto importanti. C’erano così tante materie educative da cui ho imparato ben poco, specialmente quelle che si applicavano a quello che faccio.

Durante gli anni universitari alla California State University, Chico, la sua passione per i videogiochi non si affievolì, anzi, si arricchì con la scoperta dei roguelike. Giochi come Rogue, Moria e Angband, con i loro dungeon generati proceduralmente, la grafica testuale spartana ma evocativa e la meccanica della “morte permanente”, esercitarono un fascino irresistibile su Brevik.

 

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moria videogioco
Angband videogioco
rogue videogioco
  • Moria: un gioco in cui i giocatori esploravano un dungeon infinito, combattendo mostri e raccogliendo tesori. Il gioco era noto per la sua difficoltà e per la generazione casuale dei livelli, che garantiva un’esperienza unica ogni volta che si giocava.
  • Angband introduceva nuovi elementi come città, negozi e una maggiore varietà di mostri e oggetti. Il gioco era ambientato nelle profondità della fortezza di Angband, la roccaforte di Morgoth, il nemico principale dell’universo di Tolkien.
  • Rogue è un gioco di ruolo a turni basato su testo, con dungeon generati proceduralmente e permadeath. Il giocatore esplora livelli sotterranei, combatte mostri e raccoglie tesori, cercando di recuperare l’Amuleto di Yendor. La grafica è composta da caratteri ASCII, e ogni partita offre un’esperienza unica grazie alla generazione casuale dei livelli.

“Derivati dal seminale gioco Rogue di Wichman e Toy, i roguelike disegnavano dungeon fatti di caratteri di testo come “-“, “#” e “!”. I giocatori guidavano un avventuriero, rappresentato sullo schermo dal simbolo “@”, attraverso i dungeon e combattevano contro mostri rappresentati da lettere maiuscole. La grafica basata sul testo era rudimentale, ma il fascino di questo genere emergente risiedeva nei suoi elementi casuali.”

Questa descrizione ci permette di comprendere l’importanza dei roguelike nell’evoluzione del pensiero di Brevik. L’elemento della casualità, la sfida della “morte permanente” e l’esplorazione di dungeon oscuri e pericolosi sono tutti elementi che ritroveremo in Diablo. La condivisione di questa passione con altri studenti nei laboratori di informatica creò una sorta di comunità sotterranea di appassionati, un ambiente fertile per la nascita di nuove idee.

David Brevik
Appena finito il college, volevo creare videogiochi. I miei genitori non erano molto contenti di questa decisione, ma mi hanno comunque supportato. Speravano che avrei lavorato per IBM o un posto simile, soprattutto perché i giochi non erano considerati il settore più sicuro al mondo. Era l’epoca del [Sega] Genesis e del Super Nintendo. Quindi dissi ai miei genitori: ‘Beh, che ne dite se provo a creare giochi per un po’? Se non funziona, proverò a sviluppare i vostri noiosi programmi di fogli di calcolo o qualcosa del genere.’

Al termine del college nel 1991, Brevik aveva una visione chiara del tipo di gioco che voleva creare. Nonostante le preoccupazioni dei genitori riguardo alla precarietà dell’industria videoludica, egli era determinato a seguire la sua passione. Il suo compromesso (“Se non funziona, proverò a sviluppare i vostri noiosi programmi di fogli di calcolo o qualcosa del genere”) dimostra sia la sua sicurezza che la sua volontà di trovare un equilibrio con le aspettative familiari.

Un altro capitolo della sua vita si aprì con il suo matrimonio con Wendy Shimada e la successiva ricerca di un lavoro nell’ambito dei videogiochi. L’offerta inaspettata da parte di una società di clip art chiamata FM Waves, che stava per avventurarsi nello sviluppo di videogiochi, segnò l’inizio di una nuova fase e ci introdusse a due figure chiave che avrebbero avuto un ruolo fondamentale nel suo percorso: Max e Erich Schaefer.

David Brevik
In una situazione da ‘il mondo è piccolo’, c’erano due ragazzi che lavoravano nell’azienda di clip art, Max ed Erich Schaefer. È lì che ci siamo conosciuti. Io ero un programmatore; loro erano artisti.

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Capitolo 2: Eroi da scrivania: Quando i mondi di carta e pixel si incontrano

Il titolo “Eroi da Scrivania” evoca immediatamente un’immagine di creatività silenziosa, di menti che, dietro una scrivania, danno vita a mondi fantastici. Questo capitolo ci porta a conoscere Erich e Max Schaefer, due fratelli con un legame indissolubile e una comune passione per il gioco, che si sarebbero rivelati fondamentali nella storia che stiamo raccontando.

Erich Schaefer
Giocavamo sicuramente a Dungeons & Dragons. Questo era durante i miei anni da adolescente negli anni ’70 e ’80. All’epoca non lo consideravo come una carriera. Non mi è nemmeno passato per la mente.

Queste parole di Erich Schaefer ci riportano ancora una volta all’importanza di D&D come incubatore di creatività per questa generazione di sviluppatori. Come per Brevik, il gioco di ruolo cartaceo non era solo un passatempo, ma un terreno fertile per l’immaginazione e la narrazione. Tuttavia, la sua affermazione che all’epoca non lo considerasse una carriera sottolinea come l’industria dei videogiochi fosse ancora un orizzonte lontano e incerto per molti.

Max Schaefer
Direi che le nostre partite di D&D assomigliavano molto a quello che sarebbe stato Diablo. Non ci concentravamo troppo sulla lore o sulle regole. Era tutto uccidere mostri e trovare roba buona.

set base originale D&D anni 70Questa citazione di Max Schaefer è incredibilmente rivelatrice. Già nelle loro partite di D&D si intravede il nucleo dell’esperienza di Diablo: un’enfasi sull’azione, sul combattimento contro creature mostruose e sulla ricompensa del “loot”, degli oggetti magici e del tesoro. Questa mentalità “hack and slash”, focalizzata sul gameplay immediato e gratificante, era un elemento centrale nelle loro sessioni di gioco e si sarebbe trasferita con forza nel loro lavoro futuro.

Immaginate la California meridionale: un giovane Erich Schaefer, quattordicenne, intento a disegnare su un foglio a quadretti la planimetria di un dungeon pieno di pericoli e tesori. Questa immagine del “dungeon master” solitario, che progetta mondi per i suoi futuri avventurieri, rispecchia la passione di Brevik per la creazione, sebbene espressa attraverso un medium diverso.

Il loro rapporto fraterno era fatto di “un rapporto stretto ma spesso conflittuale e violento”, un quadro realistico di due fratelli che, nonostante le liti, condividevano un legame profondo e interessi comuni. La competizione e le prese in giro, tipiche dinamiche fraterne, non intaccavano la loro vicinanza e la loro condivisione di passioni come lo sport e, naturalmente, i giochi.

Erich Schaefer
Crescendo, avevamo un rapporto stretto ma spesso conflittuale e violento. Litigavamo sempre. Ma eravamo piuttosto vicini, anche se eravamo litigiosi. Facevamo spesso le stesse cose, avevamo gli stessi amici, giocavamo agli stessi sport.

La storia prosegue raccontando i traslochi della famiglia Schaefer, simili per certi versi a quelli di Brevik, anche se meno frequenti. L’importanza delle amicizie e dei passatempi condivisi, come lo sport e i giochi, emerge come un elemento di stabilità nelle loro giovani vite. L’introduzione di Kenny Williams, un amico che condivideva la loro passione per lo sport e i giochi, sottolinea l’importanza del gruppo e della condivisione in queste prime esperienze ludiche.

Le estati trascorse tra sport all’aria aperta e le prime incursioni nelle sale giochi rappresentano un periodo formativo per i fratelli Schaefer. L’arrivo in casa di una console dedicata a Pong, seppur rudimentale, segna il loro primo contatto con i videogiochi domestici, un’esperienza che condividono con gli amici, trasformando il loro salotto in un punto di ritrovo ancora più popolare della spiaggia.

Erich Schaefer
I miei genitori portarono a casa questa strana console dedicata al gioco Pong. È la prima cosa che ricordo. Faceva solo Pong.

Max Schaefer
Beh, non avevamo Pong. Era un imitatore di Pong. Direi che eravamo proprio all’inizio delle persone che giocavano ai videogiochi a casa.

Queste brevi citazioni ci restituiscono l’entusiasmo e la novità che i primi videogiochi rappresentavano per questa generazione. Anche un gioco semplice come Pong era una “meraviglia” che catturava l’attenzione e creava momenti di condivisione.

L’evoluzione continua con l’arrivo in casa di un Apple II Plus, lo stesso computer che aveva acceso la scintilla creativa in David Brevik. Per i fratelli Schaefer, l’Apple II apre un mondo di possibilità ludiche, con giochi come Wizardry e Ultima che li catturano profondamente. La facilità con cui potevano copiare e scambiare giochi con gli amici sottolinea la natura ancora “artigianale” e comunitaria del gaming in quegli anni.

Max Schaefer
Eravamo anche tra i primi ad adottare il computer domestico. Penso che un Apple II Plus fosse il primo computer che abbiamo mai avuto. Probabilmente eravamo i primi ragazzi del quartiere ad averne uno. Comprammo alcuni giochi e ne copiammo un sacco. Non pensavamo nemmeno a cose come la pirateria. Avevamo 12 anni. I nostri amici avevano una pila di dischi, e noi avevamo appena ottenuto una seconda unità disco sulla nostra macchina e ci sentivamo dei fenomeni per quello. Questo rendeva molto facile copiare i giochi, quindi copiavamo tutto ciò che avevano i nostri amici e loro copiavano tutto ciò che avevamo noi.

Erich Schaefer
Mi sono appassionato molto ai giochi quando i nostri genitori portarono a casa un computer Apple II. È allora che ho giocato molto a Wizardry e ai primi Ultima e cose del genere. Penso che trovassero strano che passassi così tanto tempo con i giochi, ma non mi scoraggiavano.

L’interesse di Erich per Wizardry è particolarmente significativo, dato che questo gioco, con la sua enfasi sull’esplorazione di dungeon, il combattimento a turni e la gestione di un party di avventurieri, rappresenta un’altra influenza chiave per il futuro Diablo. La sua preferenza per l’azione e il combattimento rispetto a storie complesse si allinea perfettamente con l’attitudine “hack and slash” intravista nelle loro partite di D&D.

Anche Max condivide questa preferenza per l’azione, sia essa ambientata in mondi fantasy o nello spazio. Questa comune inclinazione verso un gameplay dinamico e gratificante è un elemento fondamentale che unirà i fratelli Schaefer nella loro futura collaborazione.

Un altro momento cruciale è l’introduzione al set base di Dungeons & Dragons, comprato dal padre come intrattenimento durante una vacanza. Mentre Max potrebbe non averlo giocato molto durante quel viaggio, Erich viene immediatamente catturato dalle regole e dalle possibilità creative del gioco.

Erich Schaefer
Ricordo di aver ottenuto il set base di Dungeons & Dragons probabilmente nel ’77 o ’78, forse anche nel ’79. Mio padre lo comprò e lo portò in vacanza come qualcosa per far fare ai bambini. Non sono sicuro che ci abbiamo giocato molto durante quel viaggio, ma ho letto tutte le istruzioni e in seguito ho cercato il set avanzato e qualsiasi altro libro di regole che potessi trovare.

Per Erich, il ruolo di dungeon master si rivela particolarmente congeniale. Amava creare mappe, progettare campagne e orchestrare le avventure per i suoi amici. Anche quando i suoi compagni non erano sempre entusiasti come lui, la sua passione per la creazione di mondi e sfide rimaneva intatta.

Erich Schaefer
In realtà passavo più tempo da solo a fare mappe e a leggere i libri. La maggior parte dei miei amici non era molto interessata. Erano disposti a giocare un po’, ma il gruppo con cui uscivo non era così appassionato di D&D. Ma non mi importava. Mi piacevano le regole, fare mappe e progettare campagne, anche quando ero un ragazzino.

Le campagne di Erich, proprio come le loro sessioni di D&D descritte da Max, erano focalizzate sull’azione e sul “saccheggio”: entrare in un luogo pieno di mostri e tesori e uscirne ricchi. Questa filosofia di gameplay diretto e gratificante era profondamente radicata nelle loro esperienze ludiche.

Nonostante la loro passione per i giochi, i genitori dei fratelli Schaefer li incoraggiano a considerare percorsi di studio più “seri”, riflettendo una visione comune all’epoca in cui i videogiochi non erano ancora percepiti come una vera e propria carriera. La loro predisposizione per la matematica e le scienze sembrava indirizzarli verso professioni più tradizionali.

La scelta di Erich di studiare informatica alla Carnegie Mellon nel 1984 è presentata come una decisione logica, basata sul suo interesse per la matematica e la manipolazione dei dati sui computer. Tuttavia, il suo percorso universitario si rivela tutt’altro che lineare.

Erich Schaefer
La laurea in informatica alla Carnegie Mellon si chiamava Matematica Applicata. Poi sono stato cacciato dalla Carnegie Mellon perché i miei voti erano davvero bassi, e ho finito per gironzolare in un sacco di posti, finendo alla San Francisco State. Ero nel programma di cinema lì. Questo era per metà perché amavo i film e per metà perché sembrava un modo facile per ottenere una laurea. Non ero un fan della scuola di alcun tipo, ma mi piaceva semplicemente vivere la vita da college senza un lavoro. Fino a quando i miei genitori non mi hanno tagliato i viveri.

Il racconto delle peregrinazioni universitarie di Erich, che lo portano dall’informatica al cinema e infine all’abbandono degli studi, ci mostra un individuo alla ricerca della propria strada, con una passione per la creatività che non trovava piena espressione nei percorsi accademici tradizionali.


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Capitolo 3: L’incontro tra Brevik e i Schaefer – La nascita di Condor

Prima di ogni cosa, Erich Schaefer, Max Schaefer e David Brevik avevano condiviso un’esperienza formativa, seppur con un esito commerciale non esaltante: il progetto Gordo 106. Questo platform a scorrimento orizzontale per la console portatile Atari Lynx, sviluppato mentre lavoravano presso FM Waves, vedeva come protagonista una scimmia di nome Gordo capace di “oscillare” attraverso i livelli in modo simile a Spider-Man. Nonostante l’impegno profuso nel creare una meccanica di movimento unica e divertente, Gordo 106 uscì proprio alla fine del ciclo vitale del Lynx, raggiungendo un pubblico molto ristretto.

Erich Schaefer
Gordo 106 era divertente. È uscito proprio alla fine del ciclo del Lynx, che non è durato molto comunque. Probabilmente c’era una quantità molto limitata di persone che hanno giocato o addirittura visto questa cosa. Ma noi tre, Max, Dave e io, sapevamo che i videogiochi erano la cosa giusta per noi. Era divertente, potevamo farlo, e [ci siamo resi conto] che era quello che dovevamo perseguire.

Queste parole ci fanno capire la consapevolezza che stava nascendo tra Erich, Max e David: il loro futuro era nel mondo dei videogiochi. L’avventura con Gordo 106, seppur frenata dal destino del Lynx, aveva rafforzato la loro convinzione e acceso una forte ambizione di creare qualcosa di proprio.

David Brevik ci regala uno spaccato umoristico e senza filtri degli albori di Condor, il nome in codice del loro progetto indipendente:

David Brevik
Quando abbiamo iniziato [Condor], ero in un piccolo appartamento con una camera da letto a Sunnyvale. Max ed Erich sono venuti e hanno detto: ‘Sì, abbiamo un paio di computer, abbiamo un paio di migliaia di dollari. Facciamo un’azienda.’ Io ho detto: ‘Ok. Sembra buono. Non so se ho così tanti soldi, ma ho anche un computer.’ Eravamo sulla buona strada.

Gordo 106 Atary Lynx

Questa citazione, con la sua semplicità e un tono quasi casuale, cattura alla perfezione lo spirito pionieristico e un po’ improvvisato che spesso caratterizza gli inizi delle startup. La mancanza di risorse economiche importanti non spaventa questi tre appassionati, mossi da una grande voglia di trasformare il loro sogno in realtà.

Torniamo per un momento al lavoro su Gordo 106 presso FM Waves. Immaginate l’atmosfera nel loro “laboratorio di idee” e Gordo, la scimmia protagonista, che prendeva forma. L’idea di un personaggio con un movimento unico, ispirato a Spider-Man, mostra la loro costante ricerca di elementi freschi e originali.

 

Ef Wyeth, co-fondatore di FM Waves
Volevamo avere un personaggio con un movimento unico, qualcosa che non si vedeva nella maggior parte dei giochi a scorrimento orizzontale. Essendo un fanatico di Spider-Man da una vita, l’idea di Spider-Man che oscillava ha influenzato l’idea di giocare [al gioco] come una scimmia che oscillava, semplicemente passando attraverso quel movimento. Era davvero nelle mani di Dave, Max ed Erich capire come farlo accadere.

La collaborazione tra David (il mago del codice) e i fratelli Schaefer (gli artisti creativi) iniziava a definirsi sempre più chiaramente. Mike Sigal, un altro dei fondatori di FM Waves, ricorda l’emozione nel vedere i primi sprite animati di Gordo muoversi fluidamente sullo schermo grazie al talento di Brevik:

Mike Sigal, co-fondatore di FM Waves
Dato che quello che avevamo prodotto fino a quel momento erano librerie di immagini senza alcun codice, ricordo di essere entrato nell’ufficio dove David stava lavorando e di aver visto i primi sprite animati sullo schermo. È stata una sensazione incredibile. Ricordo di aver giocato al gioco sul Lynx, e facevo schifo. Ma era comunque fantastico vedere l’intera cosa prendere vita.

Max Schaefer riconosce il talento precoce di David nel dare vita ai giochi, nonostante la sua autoironica ammissione di non essere un artista di grande livello:

Max Schaefer, co-fondatore di Condor
Penso che Dave sia nato per fare giochi e ha pasticciato con la creazione di giochi da quando poteva manipolare un computer. È arrivato e sicuramente sapeva molto di più sul processo e su come produrre arte. Era un artista terribile, ma almeno sapeva, tecnicamente, come farlo.

La divisione dei compiti all’interno del team di Gordo 106 vedeva David concentrato sulla programmazione, Max impegnato nel design dei livelli ed Erich nell’animazione dei personaggi. La loro collaborazione era un processo entusiasmante, dove l’arte prendeva forma grazie alla magia del codice.

Erich Schaefer riflette sul suo amore per la creazione artistica, una passione messa alla prova dalle limitazioni tecniche dell’epoca, e sul fascino del lavoro di squadra nello sviluppo di giochi:

Erich Schaefer
Adoravo creare l’arte, cercando di ottenere il massimo da 16 pixel e 8 colori, e mi piaceva l’aspetto enigmistico del reverse engineering del modo in cui i giochi erano fatti. Lo sviluppo di giochi mi attirava anche perché era uno sforzo collaborativo e creativo che riconoscevo poteva essere popolare e redditizio senza l’enorme scala della produzione cinematografica, la mia specializzazione preferita al college. Ovviamente, in quei giorni, ‘redditizio’ significava principalmente soldi per la birra.

Max condivide l’entusiasmo crescente nel vedere Gordo 106 prendere forma e la consapevolezza del loro potenziale:

Max Schaefer
Abbiamo iniziato a mettere insieme questo gioco, ed era ovviamente divertente, ed era ovviamente competitivo. Potevi guardare quello che stavamo facendo, e guardare quello che facevano gli altri, e dire: ‘Sì, possiamo davvero farlo.’

Tuttavia, l’atmosfera positiva presso FM Waves inizia a incrinarsi a causa di problemi finanziari sempre più pressanti. Ef Wyeth descrive la situazione precaria dell’azienda:

Efraim Wyeth
Le nostre spese superavano le nostre entrate. Come la maggior parte delle start-up, ci finanziavamo man mano che andavamo avanti. C’erano soldi che ci aspettavamo di ricevere da Atari, e abbiamo scoperto più tardi che non era insolito con Atari. Ma non possiamo incolpare solo loro. Eravamo già sull’orlo del precipizio. Non potevamo pagare le bollette.

È proprio in questo clima di crescente incertezza che l’idea di mettersi in proprio, quel “Progetto Condor” di cui parlava Erich, inizia a farsi strada sempre più concretamente tra David e i fratelli Schaefer.

Erich Schaefer
Tornando a FM Waves, quando Dave, Max e io abbiamo lavorato insieme per la prima volta, dicevamo: ‘Ehi, non dovremmo fare giochi per questi ragazzi. Dovremmo andare a fare giochi per conto nostro.’ Lo chiamavamo in ufficio Progetto Condor.

Nonostante la prospettiva allettante dell’indipendenza, il salto non è immediato. Lavorare a FM Waves, nonostante i ritardi negli stipendi, rappresentava comunque un ambiente amichevole e familiare.

La situazione precipita quando gli stipendi smettono di arrivare nell’estate del 1991. Mike Sigal riflette sulla difficile decisione di lasciare l’azienda:

Mike Sigal
L’azienda non guadagnava abbastanza per pagare gli stipendi di tutti. Andarsene è stato molto difficile. Ancora oggi, ogni volta che lascio un’azienda, che sia buona o cattiva, è difficile perché la tua identità è legata a ciò che stai creando e al cambiamento che vuoi creare nel mondo.

Anche David Brevik si trova di fronte a una scelta difficile. La necessità di provvedere alla sua famiglia lo spinge a cercare una maggiore stabilità economica:

David Brevik
Avevo lavorato a FM Waves forse cinque mesi quando i miei stipendi hanno iniziato a rimbalzare. Sicuramente non volevo dirlo a mamma e papà. Avrebbe portato al discorso del ‘Te l’avevo detto.’ Quindi sapevo che non avrebbe funzionato, ed era tempo di cercare qualcosa di più sicuro, ma volevo ancora fare videogiochi.

La ricerca di un nuovo lavoro porta Brevik a Iguana Entertainment, una nuova azienda a Santa Clara. Il suo lavoro di conversione del gioco arcade Super High Impact per Sega Genesis si rivela un successo, dimostrando ancora una volta il suo talento.

David Brevik
Ero il dipendente numero uno a Iguana, credo. Il mio primo progetto lì è stato convertire una macchina arcade chiamata Super High Impact per il Sega Genesis per [l’editore] Acclaim Entertainment. L’ho fatto in tre mesi. C’era un artista che faceva l’arte, ma ero l’unico programmatore. L’abbiamo finito, ed è stato uno dei primi progetti consegnati in tempo e nel budget che Acclaim aveva avuto da anni.

Il successo di Super High Impact consolida la posizione di Brevik all’interno di Iguana e gli permette di avere un peso maggiore sulle decisioni future. Un momento cruciale è l’opportunità di lavorare su Mortal Kombat, un gioco che Brevik riconosce subito come un potenziale enorme successo, ma che inizialmente viene accolto con scetticismo dal co-fondatore di Iguana, Jeff Spangenberg.

David Brevik
Abbiamo giocato al gioco, e ho pensato: ‘Oh mio Dio, Jeff, questo gioco è fantastico. Sarà un mostruoso successo. Dobbiamo fare questo gioco.’ Lui [Jeff] ha detto: ‘Eh, non so. Non mi piace molto. È troppo strano. È solo una copia economica di un altro gioco.’ Ho detto: ‘Ok, beh, penso davvero che potrebbe essere fantastico.’ Quel gioco era Mortal Kombat.

La decisione di Iguana di non puntare su Mortal Kombat si rivelerà un errore strategico, visto l’enorme successo che il gioco otterrà in seguito. Tuttavia, per Brevik, questa esperienza rafforza la sua capacità di intuire il potenziale di un videogioco.

Successivamente, Brevik lavora su altri progetti per Iguana, come Aero the Acrobat, e convince l’azienda a sviluppare la conversione per console di NBA Jam, un altro grande successo. Ma un cambiamento inatteso si profila all’orizzonte: il trasferimento di Iguana in Texas.

David Brevik
Intorno al momento in cui Iguana iniziò NBA Jam e prima che andassimo molto avanti, Jeff si sposò. Sua moglie era del Texas, quindi trasferì l’azienda in Texas. Non volevo andare, quindi chiamai Max e Erich e dissi: ‘Allora, uh, voi ragazzi state facendo qualcosa? Volete avviare un’azienda?’

Questo è il momento chiave in cui il “Progetto Condor” torna prepotentemente alla ribalta. Brevik, non intenzionato a trasferirsi in Texas, vede l’occasione perfetta per realizzare il sogno di creare la propria software house con Max ed Erich.

Nel frattempo, il destino di FM Waves (diventata Tenth Planet) e di Gordo 106 si compie. I problemi finanziari e la scarsa diffusione dell’Atari Lynx condannano il gioco al fallimento commerciale. Ef Wyeth descrive le difficoltà incontrate con Atari:

Ef Wyeth
Uno dei problemi era che [Atari] aveva interrotto il Lynx poco prima che il nostro gioco uscisse. Non abbiamo mai avuto davvero la possibilità che Gordo facesse soldi. C’era una carenza di Lynx nei negozi di Toys ‘R’ Us e altri. Atari ha davvero fatto un casino lì. Ma poi c’erano voci su una nuova piattaforma Atari, il Jaguar. Quello che volevano davvero era che iniziassimo a sviluppare cose per il Jaguar. Quindi abbiamo spostato un po’ di attenzione su quello, e continuavano a prometterci le specifiche. Volevano che iniziassimo a sviluppare un gioco prima di avere le loro specifiche. Siamo rimasti in questo limbo per un po’, e abbiamo scoperto dopo il fatto che non era insolito lavorare con Atari.

La chiusura di Tenth Planet lascia Max ed Erich con un po’ di vecchia attrezzatura e la ferma intenzione di continuare a sviluppare giochi. Fondano Atomic Games con un altro programmatore, Joe Jared, e tentano di portare Gordo 106 sul Super Nintendo, ottenendo anche un contratto con un piccolo editore, DTMC. Matt Householder, VP dello sviluppo di DTMC, ricorda il suo incontro con i fratelli Schaefer:

Matt Householder, VP dello sviluppo, DTMC
Ho incontrato Max ed Erich Schaefer nel 1992 circa attraverso il capo di mia moglie a Publish Magazine, che era un amico di loro. Volevano entrare nello sviluppo di giochi per conto proprio dopo aver lavorato per un piccolo sviluppatore di videogiochi per l’Atari Lynx. Ricordo di averli incontrati per la prima volta in un ristorante messicano su Haight Street vicino a Stanyan. Più tardi, nel 1993, come VP dello sviluppo a DTMC, un piccolo editore Nintendo, li ho firmati—come Atomic Games—per lavorare a un gioco per Super NES che mi avevano proposto: Gordo 106: The Mutated Lab Monkey.

Tuttavia, lo sviluppo di Gordo 106 per Super Nintendo si rivela pieno di ostacoli, con Atomic Games ancora inesperta e bisognosa di una guida esperta nella programmazione. È proprio in questo momento di incertezza che squilla il telefono: è David Brevik.

La prima chiamata di Brevik a Max ed Erich, mentre lavora ancora per Iguana, non va a buon fine. Max ricorda con un po’ di amarezza:

Max Schaefer
Ho chiamato Brevik e ho chiesto: ‘Cosa stai facendo? Facciamo partire la nostra azienda. Facciamo succedere qualcosa.’ David stava lavorando a Iguana Entertainment all’epoca. Immagino che quando l’ho chiamato, era seduto accanto al suo capo, quindi ha detto: ‘No. Sono felice qui. Tutto sta andando alla grande. Non sono interessato. Buona fortuna, ragazzi. Tenetevi in contatto.’

Ma il destino aveva altri piani. La perdita del contratto con DTMC lascia Max ed Erich nuovamente senza un progetto. È in questo momento di sconforto che arriva la seconda telefonata di David Brevik, quella decisiva:

Max e Erich staccarono una banconota da venti dal loro gruzzolo, comprarono un po’ di alcol, alzarono il volume dello stereo e iniziarono a scambiarsi idee su cosa fare dopo. Qualcosa sarebbe venuto fuori. Qualcosa succedeva sempre. Diverse ore e bottiglie di birra dopo, il telefono squillò. Max rispose e borbottò un saluto. Dall’altra parte, Dave disse loro con entusiasmo che aveva deciso di non trasferirsi in Texas. Progetto Condor era un go.


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Capitolo 4: Superman non può calciare: Le prime battaglie di Condor

Immaginate la scena: Michio Okamura, uno dei primi artisti ad unirsi alla squadra di Condor, seduto in quella che sembrava più una postazione di fortuna che un vero ufficio. La gente entrava e usciva, lasciando la posta e scambiandolo per il receptionist.

Michio Okamura, artista, Condor

Ero seduto nella stanza anteriore e la gente entrava e lasciava la posta, pensando che fossi il receptionist. Ero solo a un tavolino con una lightbox e un piccolo telefono.

Questa immagine un po’ surreale ci dà un’idea delle umili origini di Condor, un contrasto stridente con l’ambizione che animava il team.

Matt Uelmen, il futuro mago delle musiche di Diablo, ricorda come la mancanza di fondi portasse a serate “sociali” molto particolari, tutte incentrate sui videogiochi, creando una cultura aziendale davvero unica:

Matt Uelmen, compositore, Condor

I nostri grandi eventi sociali in ufficio spesso ruotavano attorno a *NHL ’94* per il Genesis, a cui Max era piuttosto bravo. Abbiamo accidentalmente creato una cultura genuinamente incentrata sui giochi, un risultato naturale della mancanza di soldi per molto altro.

Kelly Johnson, un altro artista che si sarebbe unito presto al gruppo, dipinge un quadretto pittoresco e un po’ sgangherato dei primissimi giorni di Condor:

Kelly Johnson, artista, Condor

Max ed Erich avevano questo vecchio furgone, un Vanagon malconcio. Era praticamente la nostra auto aziendale: un furgone bianco, con il paraurti mancante e senza copriruota. Ma in fondo eravamo così. Un gruppo di straccioni.

Torniamo alla fine dell’agosto 1993. David Brevik aveva riunito Max ed Erich nel suo piccolo appartamento per discutere del futuro della loro neonata azienda. Nonostante le scarse risorse, la determinazione e la rete di contatti di Dave erano le loro armi principali. Brevik spiega la sua decisione di non trasferirsi con Iguana, sentendosi in qualche modo “in debito” con l’azienda e non volendo sottrarre loro talenti.

David Brevik, co-fondatore di Condor

Iguana si stava trasferendo in Texas. Quando presero la decisione, molto dipendeva dal fatto che mi trasferissi anch’io. All’inizio dissi di sì, ma all’ultimo momento cambiai idea e dissi di no. Perciò mi sentii come se non potessi davvero portare via nessuno da quella situazione.

Il destino sembrava avere grandi progetti per Condor fin dal suo inizio. Proprio durante uno dei loro primissimi incontri, il telefono squillò. Era David Siller di Sunsoft, un contatto che Brevik aveva coltivato durante il suo lavoro su Aero the Acrobat.

Erich Schaefer, co-fondatore di Condor e Max Schaefer, co-fondatore di Condor

Poco dopo aver fondato Condor—anzi, durante il nostro primo incontro—ricevemmo una chiamata da qualcuno che aveva lavorato con David al progetto *Aero the Acrobat*. Ci chiamò di punto in bianco proprio durante la nostra prima riunione e disse: “Ehi, vogliamo che facciate giochi per noi.”
Così, nel nostro primo incontro organizzativo per la nuova azienda, Condor, ci trovammo subito di fronte a un’offerta: potevamo scegliere da una lista di giochi da sviluppare. Fu una coincidenza davvero incredibile. Stavamo appena discutendo del nostro futuro, il telefono squillò e trovammo subito lavoro. Fu solo uno dei tanti eventi fortunati che ci capitarono lungo la strada.

Sunsoft offrì a Condor la possibilità di scegliere tra diversi progetti, tra cui un gioco di Scooby-Doo, uno degli Aerosmith e Justice League Task Force. Brevik, con la sua solita intuizione, puntò su quest’ultimo, nonostante il potenziale commerciale apparentemente maggiore del gioco degli Aerosmith.

David Siller, direttore editoriale, Sunsoft e David Brevik, co-fondatore di Condor

Dave si avvicinò a me e disse: “Non andrò ad Austin.” Me lo confidò con un certo riserbo, così gli risposi: “Beh, apprezzo molto i tuoi sforzi su questi progetti. Forse possiamo parlarne e vedere se possiamo fare qualcosa insieme.”
Sunsoft ci propose alcune opzioni: *Scooby-Doo*, un gioco sugli *Aerosmith* o *Justice League Task Force*. Ci chiesero: “Quale volete fare?” Io risposi: “*Justice League*.”
Loro ribatterono: “Cosa? Il gioco degli *Aerosmith* sarà molto più grande.”
Io replicai: “Ma non c’è un gioco lì.”
Ovviamente, questo accadde molto prima di *Rock Band*.

L’ottenimento del contratto per Justice League Task Force, un picchiaduro chiaramente ispirato a Street Fighter II, segnò il primo grande traguardo di Condor. Subito dopo, il team si concentrò su questioni pratiche come la scelta del nome ufficiale dell’azienda (Condor, Inc.) e la definizione dei ruoli. La decisione sui titoli, tra l’altro, fu presa in modo tutt’altro che formale: tirando a sorte. Max Schaefer spiega la sua “nomina” a CEO:

Max Schaefer

Ero CEO semplicemente perché serviva qualcuno in quel ruolo, e probabilmente ero il più adatto a respingere le intrusioni degli editori. Anche quando siamo cresciuti, Dave, Erich e io abbiamo sempre gestito l’azienda come una sorta di mostro a tre teste. I titoli erano solo una formalità. Qualsiasi decisione importante veniva presa insieme, da noi tre.

Entro il 10 settembre 1993, Condor era ufficialmente operativa. Il passo successivo era trovare un ufficio. La scelta cadde su un piccolo parco uffici a Redwood City, una posizione comoda per tutti e tre i fondatori. L’esterno idilliaco contrastava con l’interno modesto e un po’ trasandato.

David si creò il suo spazio come una tipica “caverna da programmatore”, mentre Max ed Erich si sistemarono in un ufficio adiacente per collaborare sull’aspetto artistico di Justice League Task Force. Il loro obiettivo iniziale era semplice: replicare il gameplay di Street Fighter II con i supereroi DC. Tuttavia, si resero presto conto della necessità di un artista con una solida esperienza nel disegno di supereroi.

Max Schaefer

La prima cosa che abbiamo capito sviluppando questo gioco è stata che avevamo bisogno di qualcuno in grado di disegnare supereroi a livello professionale, perché di certo né Erich né io eravamo in grado di farlo. Potevamo occuparci di sfondi, mostri e tutto il resto, ma creare una figura umana iconica, un supereroe, non è qualcosa che si può improvvisare.

NFL Quarterback Club Contemporaneamente, Condor accettò un altro contratto da Acclaim per sviluppare NFL Quarterback Club per Game Boy, un’opportunità che portò alla necessità di assumere più personale, sia programmatori che artisti.

La risposta a un annuncio di lavoro portò all’assunzione di Michio Okamura, un artista con una solida esperienza nel fumetto indipendente e una vera passione per i supereroi. Okamura racconta il suo percorso, dalla creazione di illustrazioni fantasy per giochi di ruolo cartacei al lavoro nel settore dell’import-export, fino alla decisione di inseguire finalmente il suo sogno di lavorare nell’arte creativa.

Michio Okamura

Ho lavorato per un po’ nei fumetti indipendenti, poi mi sono sposato e ho avuto figli. Avevo bisogno di un lavoro rispettabile, così ho lavorato per circa cinque anni in una società giapponese occupandomi di import-export.
In quel periodo sono diventato responsabile della distribuzione per la costa occidentale e stavano persino valutando di promuovermi a vicepresidente della regione. Mi avrebbero insegnato a giocare a golf, avrei dovuto indossare abiti eleganti e parlare con i clienti.
Fu allora che ebbi un attacco di panico. Stavo per compiere 30 anni e mi dissi: *Non voglio fare questo per tutta la vita. Voglio fare qualcosa di creativo. Voglio [creare] arte.*
Era la mia ultima occasione. Decisi di prendermi una pausa, dedicarmi all’arte per un po’, togliermela dalla testa… e poi, magari, tornare a un lavoro rispettabile.

Il colloquio di Okamura con i fondatori di Condor, vestiti in modo tutt’altro che formale, lo spiazzò inizialmente, ma la conversazione si spostò rapidamente su interessi comuni come il kung fu, i fumetti e i giochi di combattimento, mettendo a suo agio l’artista. Un rapido test di disegno convinse Dave e Max ad assumerlo immediatamente.

Tuttavia, l’entusiasmo iniziale di Okamura per l’idea di disegnare Superman e altri supereroi si scontrò presto con una realtà inaspettata: la sua totale inesperienza con la grafica digitale.

Michio Okamura

Non avevo esperienza di lavoro al computer, a parte la documentazione di import-export per la dogana. Fare arte è qualcosa di completamente diverso rispetto al semplice utilizzo di un’applicazione. Non avevo mai [disegnato] nulla al computer.
Così, per l’intero progetto *Justice League*, ho usato pochissimo il computer. Quasi tutto ciò che ho realizzato è stato disegnato a mano.

Max ed Erich, grazie alla loro inventiva, svilupparono una pipeline artistica che valorizzava le abilità tradizionali di Okamura: lui disegnava i personaggi su carta, mentre loro li scansionavano, ridimensionavano e coloravano digitalmente con Deluxe Paint.

Oltre al suo contributo artistico, Okamura aiutò anche a comprendere le dinamiche dei giochi di combattimento, studiando le animazioni fluide e le combo di Street Fighter II.

Nel frattempo, Dave Brevik si concentrava sugli aspetti tecnici, affrontando le sfide della programmazione per Sega Genesis e Game Boy. Condor investì una parte significativa del budget iniziale in un kit di sviluppo per Sega Genesis, ma la necessità di lavorare anche al progetto per Game Boy portò alla ricerca di un altro programmatore.

Richard “Rick” Seis rispose a un annuncio di lavoro di Condor. La sua storia era simile a quella di Brevik: una passione precoce per i videogiochi e una forte determinazione a lavorare nel settore. Dopo un periodo in un impiego più “rispettabile” ma insoddisfacente, decise di tentare la fortuna nell’industria videoludica. Il suo colloquio a Condor fu memorabile, culminando in una partita a NHL ’94 che Rick vinse, dimostrando la sua dedizione al gaming. Fu assunto immediatamente, accettando persino una significativa riduzione di stipendio pur di realizzare il suo sogno.

Rick si integrò rapidamente nel team, lavorando al fianco di Dave sui progetti per Game Boy e Game Gear. La sfida principale della programmazione per queste piattaforme era ottimizzare il codice per sfruttare al massimo le limitate risorse hardware.

Mentre la programmazione avanzava, il team artistico di Justice League Task Force si scontrò con le restrizioni imposte dalla DC Comics, proprietaria dei personaggi. Un aneddoto emblematico fu il veto imposto dalla DC su un dettaglio curioso: Superman non poteva calciare.

David Brevik

Lavorare con la proprietà intellettuale di qualcun altro ha sempre vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è che puoi contare su personaggi già noti, con un pubblico consolidato e un riconoscimento immediato da parte dei consumatori.
Il problema, però, è che spesso queste IP non sono pensate per i videogiochi. […] Un esempio famoso è la storia di *”Superman non può calciare”*.

La DC Comics, appellandosi alla presunta “canonicità” dei fumetti, vietò a Superman di usare i calci nel gioco, costringendo Condor a trovare soluzioni alternative, come dotare l’Uomo d’Acciaio di una maggiore varietà di pugni. Max Schaefer ricorda le strane interazioni con la DC, che forniva feedback basandosi su videocassette sbiadite del gameplay.

Anche l’aspetto dei personaggi era soggetto a rigide restrizioni, vincolato agli archi narrativi in corso nei fumetti. Questo portò Michio Okamura a disegnare un Superman con i capelli lunghi, un look che personalmente non apprezzava.

Nonostante le sfide e le limitazioni, Condor continuava a crescere. Vennero assunti nuovi artisti, tra cui Tom Byrne e Kelly Johnson, quest’ultimo impressionando Max con un disegno di Superman realizzato su un semplice tovagliolo. La necessità di un altro programmatore portò all’ingresso di Matt Uelmen, la cui insistenza nel chiedere un lavoro divenne “leggendaria” secondo Brevik.

Uelmen, musicista con una profonda passione per i videogiochi, si integrò perfettamente nella cultura “gamer-centrica” di Condor. In ufficio si fece notare non solo per il suo talento musicale, ma anche per la sua abilità (e la sua tendenza a trollare) in giochi come NHL ’94.

Il team di Condor trovava sempre il tempo per immergersi nei nuovi videogiochi, e l’arrivo di Doom in ufficio segnò un momento di intensa fascinazione. Le sessioni multiplayer “improvvisate”, giocate nella stessa stanza con i partecipanti che si urlavano le loro posizioni a vicenda, creavano momenti di puro terrore e divertimento condiviso.

 

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condor games
team condor a lavoro su diablo
statua diablo 1

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Timeline

  • 1970s-1980s: Infanzia e Formazione – Scopre Dungeons & Dragons, arcade come Pac-Man e inizia a programmare su Apple II Plus.
  • 1986-1991: Studi Universitari – Studia alla California State University, Chico. Scambia software su BBS e sviluppa primi giochi.
  • 1991-1993: Lavoro in FM Waves – Sviluppa Gordo 106 per Atari Lynx con Max ed Erich Schaefer.
  • 1993: Fondazione di Condor – Con Max ed Erich fonda Condor. Primo progetto: Justice League Task Force per Sunsoft.
  • 1994-1995: Crescita di Condor – Condor sviluppa NFL Quarterback Club e cresce il team con nuovi artisti e programmatori.
Persone chiave Libro Stay Awhile and Listen
Da sinistra a destra: David Brevik, David L. Craddock, Erich Schaefer, Max Schaefer. (Foto per gentile concessione di Amie C. E. Kline.)

Sebbene i primi capitoli di Stay Awhile and Listen si concentrino sulla genesi di Condor e sui loro primi progetti, emergono già diversi elementi fondamentali che gettano le basi per la futura creazione di Diablo. La passione di David Brevik per i giochi roguelike, l’attitudine hack and slash radicata nelle esperienze di D&D dei fratelli Schaefer, l’immersione del team in atmosfere oscure e brutali con giochi come Doom e, soprattutto, il desiderio di Condor di sviluppare un progetto personale, libero dalle limitazioni imposte da licenze esterne, sono tutti segnali che anticipano la nascita di un titolo come Diablo.

La sinergia tra i talenti complementari del team, dalla programmazione all’arte fino alla musica, avrebbe presto trovato la sua massima espressione nella creazione di questo gioco iconico, unendo passioni individuali in un’esperienza oscura, coinvolgente e profondamente gratificante.

Nel prossimo articolo, approfondiremo come il team di Condor abbia iniziato a plasmare Diablo, dalle prime idee alla sua evoluzione, fino a diventare il capolavoro che tutti conosciamo.

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